di Marcello Veneziani
martedì 7 settembre 2010
LE RADICI DELLA DESTRA NON SONO A MIRABELLO
di Marcello Veneziani
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martedì 31 agosto 2010
Ersilia LANCIA:Taglio erba ai MAP di Cansatessa
“Con questa iniziativa, assolutamente simbolica, abbiamo voluto esprimere la nostra vicinanza agli abitanti dell’insediamento Map e nel contempo sensibilizzare l’amministrazione comunale e chi di competenza al problema della manutenzione del verde pubblico in queste nuove aree” spiega il Consigliere.
“ Pur nelle difficoltà legate alle note vicende del sisma, riteniamo tuttavia necessario che l’amministrazione comunale offra soluzioni alle esigenze di decoro e vivibiità legittimamente manifestate dagli abitanti dei nuovi insediamenti.”
“ A giorni” prosegue il Consigliere “ chiederò al Presidente di V circoscrizione la convocazione di una seduta ad hoc volta a discutere delle problematiche abitative dei MAP anche con le autorità competenti”.
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domenica 17 gennaio 2010
AREZZO 23 e 24 GENNAIO GENERAZIONE PDL PROTAGONISTI SEMPRE.
L’obiettivo?
Che nel Pdl vi siano posizioni di minoranza lo disse per primo il presidente della Camera Fini nell’intervento politico che tenne al congresso fondativo del partito. Lui stesso riconobbe che alcune sue opinioni – penso alle questioni etiche ed oggi potrebbe essere la cittadinanza – erano minoritarie. Io credo che da Arezzo emergerà con chiarezza che le posizioni prevalenti al congresso fondativo su molti temi sono le stesse in cui si oggi si riconosce larga parte del Pdl e che dovrano essere affermate nelle sedi politiche. Le posizioni minoritarie sono assolutamente legittime ed esistono in tutte le forze politiche, poi è chiaro che chi le sostiene si agura sempre che diventino maggioritarie. Io ritengo che la linea del Pdl debba essere rafforzata, in un’ottica di mescolanza tra le diverse storie e provenienze. Sulla cittadinanza mi sembra che nel Pdl prevalga l’aspetto di forte identità nazionale e di prudenza; non dobbiamo sbandierare in maniera polemica dei contenuti ma affermarne alcuni in maniera positiva. Eppoi ricordiamoci che andiamo verso le regionali e su alcune questioni non bisogna lasciare troppo campo alla Lega.
Ci sono intese stabilite alla nascita del Pdl che vanno comunque rispettate considerando anche il poco tempo trascorso dalla sua nascita. Quando c’è una fusione di più soggetti in politica è sempre necessario un periodo di transizione caratterizzato da alcune garanzie, ma nel tempo credo saranno superate.Tuttavia, al di là del 70 a 30, tutto ruota intorno ai contenuti.
Si spieghi meglio.
Quando oggi si dice il 30 per cento di An, ma chi lo rappresenta? E quali sono i contenuti? Può capitare annche che un esponente di An non rappresenti quel 30 per cento ma si senta più rappresentato dal 70 per cento. Nel Pdl alcune posizioni sono fortemente rappresentative di An, ne sono convinto nonostante il mio ruolo di capogruppo dei senatori del Pdl mi imponga di rappresentare il cento per cento delle posizioni di tutti i senatori.
Noi non abbiamo invitato le fondazioni, abbiamo scritto ai parlamentari del Pdl, quindi se un parlamentare è anche promotore di un’associazione, di una fondazione può rispondere e aderire. Tutti sono promotori dell’iniziativa se lo desiderano, insieme a Ignazio abbiamo voluto dare proprio questa impronta aperta e fluida. Abbiamo determinato un lungo elenco di promotori, ci sono tante associazioni e singoli parlamentari che hanno aderito, penso all’associazione di Tatarella, all’Ircocervo di Cicchitto che recentemente ha istituito una fondazione, penso a Isabella Bertolini e molti esponenti dell’ex Fi.
Noi intendiamo il concetto in termini positivi e non ci staremmo se venisse contrabbandata come un’occasione per parlare del dopo-Berlusconi inteso come leadership. Un pò come è avvenuto per quelli che in estate volevano fare il partito del sud e poi si è capito che erano interessati alle poltrone degli assessorati. Faccio un esempio…
Prego.
Nel 2004 insieme a Ignazio realizzai un video che vorrei riproporre anche ad Arezzo a corredo del mio intervento. Cinque anni fa non c’era il Pdl, c’era An e il centrodestra attraversava una fase piuttosto burrascosa. In quel video mostrai ciò che accade nei grandi pariti occidentali, in America coi demcoratici e i repubblicani e negli altri Paesi europei, dall’Inghilterra alla Francia solo per citarne alcuni. In tutti questi casi emerge un dato di fondo: è assolutamente normale una continuità nel ricambio fisiologico delle classi dirigenti. Io in quell’occasione dissi, ragazzi andiamo avanti sereni. Poi, quando sarà e chi sarà lo Chirac che succederà a De Gualle o il Sarkozy, questo lo diranno la storia e i tempi che verranno. Non è certo questo il tema all’ordine del giorno del convegno di Arezzo. Il tema centrale è il consolidamento del contenitore e la definizione dei contenuti. La leadership è ben chiara, forte e intangibile. Penso che il nostro compito sia creare un partito che abbia una continuità di prospettiva nei prossimi decenni e credo che le immagini di quel video siano riproponibili anche oggi come esempio pratico.
Nella fase di avvio del Pdl era fisiologico che i partiti fondatori mantenessero un collegamento con i gruppi dirigenti. Fu in seguito Fini a ritenere in qualche modo conclusa quella fase quando disse che nel Pdl non ci sarà una corrente di An e lo dichiarò al congresso fondativo. Nel pranzo insieme al presidente della Camera, liberamente e con molta armonia e non coi toni che ho letto in alcuni articoli menzogneri, abbiamo parlato di contenuti rilevando come Fini abbia percorso sentieri innovativi e questo è stato possibile perchè c’è il Pdl; sarebbe stato più difficile se ci fosse ancora stato il partito di ieri. Il Pdl significa anche garanzia per ciascuno di introdurre contenuti nuovi. In quel pranzo, ciascuno di noi ha difeso i contenuti per i quali si è sempre impegnato. Io ho ribadito la mia coerenza ad esempio su identità nazionale, sicurezza, immigrazione clandestina, sulla tradizione cattolica che non vuol dire clericalismo. Alla fine il presidente della Camera ci ha detto: vorrei parlare con Berlusconi posso farlo a nome di tutti? Cosa avete risposto? E’ un fatto normale per i due co-fondatori del partito. Io e Quagliariello parliamo ogni giorno di tutto e anche loro dovrebbero farlo. Ovviamente io per primo ho detto a Fini che nel parlare con Berlusconi avrebbe dovuto tenere conto dei contenuti e delle posizioni di tutti. Sono sicuro che eserciterà questo mandato interpretando correttamente il pensiero di tutti.
Abbiamo definito quasi tutto. Abbiamo Formigoni in Lombardia, la Polverini nel Lazio, Cota e Zaia in Piemonte e Veneto. Sì, ma in Puglia e Campania le caselle non sono ancora chiuse. In Puglia stiamo cercando di capire cosa succede nel campo altrui mentre assistiamo alla pantomima della sinistra che dialoga col centro e si prende a pugni nelle sale degli hotel. Credo sia arrivato il tempo di decidere ma anche di stanare la posizione dell’Udc che deve prima scegliere principi, valori e programmi nei quali riconoscersi, senza partecipare ad una specie di asta sulle candidature.
La priorità sono i contenuti. Penso ad esempio alla gestione della sanità che spetta alle Regioni e penso in particolare alla somministrazione della Ru 486 che avviene nelle strutture sanitarie delle Asl in regime di ricovero ospedaliero fino all’espulsione del feto. Domando: l’Udc su questo tema è pronta ad allearsi in alcune regioni con chi vuole fare della Ru 486 una via domiciliare all’aborto fai da te oppure no? Se uno crede ai principi deve partire da questi. Quanto alla Campania credo che ad oggi l’ipotesi più accreditata sia quella di un politico e il nome più probabile può essere quello di Caldoro ma non c’è dubbio che l’opinione di Cosentino è importante. Quindi occorre sentire il parere di Cosentino che mi pare attaccato ingiustamente dall’offensiva della sinistra giudiziaria. Penso che abbia tutto il diritto di dire la sua sul candidato alla presidenza della Regione e la decisione definitiva va presa insieme a lui che è anche il coordinatore regionale del partito.
Feltri è il nostro sparring partner, cioè colui che riscalda i pugili. Diciamo che ci tiene allenati non avendo avversari che ci contendono il titolo sul ring. Ogni tanto tira un cazzotto invece di limitarsi ad allenare. Vedo molto bene la candidatura della Polverini che conosco dagli anni ‘80. Ne ho sostenuto con forza la corsa alla presidenza della Regione Lazio anche parlandone con Berlusconi al quale ho spiegato la valenza positiva di questa designazione. E sono molto contento di aprire con lei e Cicchitto la campagna elettorale il 9 e 10 gennaio nelle province del Lazio.
Basta non fornire vantaggi alla Lega. Ad esempio noi dobbiamo dire che la posizione del Pdl è contraria alla cittadinanza facile e che sull’immigrazione abbiamo idee chiare che prima An oggi il Pdl interpretano appieno. Insomma, non dobbiamo fare regali al Carroccio.
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venerdì 17 luglio 2009
Berlusconi firma le ordinanze per la ricostruzione pesante e gli indennizzi alle attività produttive.
La n. 3789 contiene invece le disposizioni a favore dei titolari di attività produttive – ma anche dei soggetti che esercitano attività culturali, ricreative, sportive e religiose – che hanno subito conseguenze sfavorevoli per effetto del sisma.Le domande vanno presentate entro 60 giorni dalla pubblicazione dell'ordinanza in Gazzetta Ufficiale.
Fonte http://www.protezionecivile.it/
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giovedì 9 luglio 2009
IL G8 A L'AQUILA ORGOGLIO PER LA NOSTRA CITTA'
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mercoledì 8 luglio 2009
PRESIDENTE BERLUSCONI GRAZIE!!!!!!!!!!!!!!
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mercoledì 24 giugno 2009
lunedì 23 marzo 2009
L'INTERVENTO DI GIANFRANCO FINI AL CONGRESSO DI ALLENZA NAZIONALE
Abbiamo avuto momenti difficili, abbiamo avuto gli alti e i bassi ma, nell´arco di questo quindicennio che ha cambiato la storia italiana, non è mai accaduto che tra noi e il partito di Berlusconi ci fosse il momento della rottura insanabile. È capitato con altri. Alcuni questa rottura non l´hanno ancora ricucita, altri questa rottura l´hanno metabolizzata e si è tornati a un´alleanza. È certo comunque che tra la destra italiana e il partito fondato da Berlusconi c´è stato un lungo cammino fatto di incomprensioni, fatto di polemiche, fatto di asperità ma fatto anche di un lungo filo conduttore: cercare di costruire un´Italia che fosse diversa, che fosse migliore , che non avesse l´occhio proiettato verso il passato, che non avesse nostalgia di un centro in cui ogni mediazione è capace, non tanto di guidare la politica, quanto di ammorbidirne le asperità. Un´alleanza che che era finalizzata un progetto per il nuovo secolo. E oggi, dando vita al Pdl o vita al Pdl si compie l´ultimo anello di questa lunga strategia. Perché oggi, a mio parere, le condizioni ci sono? Innanzitutto perché questi quindici anni hanno reso possibile un´alleanza, non soltanto tra le classi dirigenti, che per certi aspetti è l´alleanza meno solida; in questi quindici anni è emersa un´alleanza di base tra gli elettori. È emersa un´alleanza fondata su valori condivisi. Il Pdl è nato secondo qualcuno il due dicembre, secondo altri il tredici di aprile nelle urne: che sia nato comunque nelle urne o nelle piazze poco importa, certo è che ha avuto una lunga fase di gestazione e preparazione durata quindici anni. Il Popolo della libertà non è nato a San Babila col cosiddetto discorso del Predellino. In quel momento Berlusconi ha avuto la capacità, nella fase più acuta dello scontro con Alleanza nazionale, di rilanciare. Lo ha rilanciato forse quando nessuno ci credeva più. Ma non c´è ombra di dubbio che questa unione tra la nostra gente e gli elettori di Forza Italia si era consolidata nel corso di un quindicennio. E perché dico un´alleanza basata su valori condivisi? Perché questa è, a mio modo di vedere, la grande differenza che esiste tra il Popolo della libertà e l´altro soggetto politico, il Partito democratico, che ha anticipato un bipolarismo più compiuto attraverso l´incontro, l´unione di storie politiche. È stato detto il Partito democratico ha dato vita a una fusione fredda. Il Popolo della libertà sarà capace di dare vita a una fusione più calda, basata su condivisioni di valori? Il quesito è lecito ma la risposta è per certi versi facile, scontata. Perché oggi Il Pdl può guardare con fiducia a questa alleanza che oggi giunge all´ultimo atto, quello più simbolico, quello che maggiormente coinvolge le emozioni, ma è naturale si si ha ben chiaro quello che è successo in questi ultimi quindici anni. Perché i valori di riferimento ci sono e sono i medesimi. E sono i valori del Partito popolare europeo. Quale è stata la cifra politica della difficoltà del Partito democratico? Non è stata soltanto la questione di una leadership non accettata da tutti, pur avendo avuto Walter Veltroni una larga investitura popolare, le primarie. La cifra politica della difficoltà del Partito democratico è stata nella sua collocazione europea. Nell´impossibilità di dire in quale grande famiglia europea si andava a collocare il nuovo partito che nasceva dall´incontro non sufficientemente metabolizzato tra cultura politiche che in Italia erano state non soltanto diverse fra di loro ma in alcuni case alternative. Vedremo se l´on. Franceschini o la nuova fase dirigente scioglierà questo nodo che è il nodo politico per eccellenza. Perché nel momento stesso in cui la politica italiana è sempre più europea, nello stesso momento in cui le sfide vengono sempre di più fuori dai confini nazionali, non si può essere credibili in patria se si dice "abbiamo dato vita a un grande nuovo partito", e poi essere incerti nella collocazione a Bruxelles nell´ambito delle grandi famiglie europee. Non esiste in Europa una terza via tra Partito socialista europeo e Partito popolare europeo.Era l´illusione del Pd che si basava sull´incapacità di spiegare chiaramente quali erano i valori di riferimento, noi questa difficoltà non ce l´abbiamo. Possiamo avere la difficoltà nella fusione degli organigrammi, possiamo avere la difficoltà in questa o in quella federazione, possiamo avere la difficoltà nella sottolineatura o meno di alcuni argomenti di priorità politica, ma non c´è ombra di dubbio che non abbiamo la difficoltà nell´indicare quelli che sono i valori di riferimento del Pdl. Sono i valori di riferimento del Popolo delle libertà, sono i valori di riferimento del Partito popolare europeo e sono i valori di riferimento capaci di dare una risposta a quelle ansie che non soltanto la società italiana ha, ma alle ansie dell´Europa, alle ansie dell´Occidente. Perché oggi ci sono le condizioni per questa nuova, grande, avventura? Perché la crisi della sinistra italiana non è tanto crisi di consenso, il consenso va e viene, è a mio modo di vedere una crisi di idee. Perché a fronte di quelle che sono le nuove sfide che il futuro presenta alla porta dei popoli è l´armamentario, il bagaglio culturtale della sinistra che oggi mostra la corda. Vi siete resi conto amici miei che negli ultimi 15 anni non perché è nata Fiuggi, non perché è nata Forza Italia, ma anche per An e FI, negli ultimi 15 anni è scomparso dal lessico dei giornalisti, dal lessico dei politici quell´espressione "egemonia culturale della sinistra" che dai tempi di Gramsci in poi aveva rappresentato l´assicurazione per la sinistra italiana della possibilità di avere il consenso? La sinistra italiana oggi è in crisi di idee, non è in crisi di organizzazione. Franceschini fa bene a dire, come ha detto ieri, che hanno un grande partito di sei-settemila circoli. Ma il problema di una grande forza politica, in un´epoca bipolare, con le sfide che oggi sono sulle spalle dell´Occidente, non è soltanto nell´organizzazione, è nelle idee. Ecco perché dobbiamo essere ottimisti sul nostro futuro.Perché se si va a scavare un po´ in quelli che sono i valori del partito popolare europeo, che poi dovremo declinare ovviamente secondo la nostra tradizione nazionale, allora bè forse si ha la risposta a quella che è la crisi dell´Occidente, l´ansia dell´Occidente. Quali sono questi valori? Certamente la consapevolezza del primato della dignità della persona. È il valore principale che va garantito e tutelato da un´azione politica. Non è l´autorità dello Stato, è la dignità della persona. E se il valore cui orientare una politica è quello è di tutta evidenza che lo Stato non può limitare la libertà. Lo Stato deve per certi aspetti esaltare la libertà, lo Stato deve garantire a tutti l´esercizio delle libertà. È una concezione di tipo culturale che ha delle conseguenze quando si affrontano i temi connessi alla sicurezza, connessi alla legalità. La vecchia iconografia della destra legge e ordine oggi va declinata in modo diverso se si è davvero convinti che quello che vogliamo non è l´ordine delle caserme, non è l´ordine imposto contro la libertà, ma è al contrario quell´ordine intimo che c´è in una società coesa laddove è difesa e in qualche modo incrementata la dignità della persona umana, la dignità della persona umana quale che sia il colore della pelle, quale che sia il Dio in cui credi, quale che sia il ruolo sociale. Il primato della dignità della persona. Quella concezione che c´è nel Partito popolare europeo e che stenta ad affermarsi nel Pd o nel Partito socialista europeo, relativa alla necessità di dar vita a un´azione tra i vari organismi istituzionali e i vari corpi sociali che sia improntata a quel principio di sussidiarietà che non è soltanto la sussidiarietà di tipo verticale, è quella sussidiarietà di tipo orizzontale di cui c´è assoluta necessità oggi che lo Stato non è più il Moloch del secolo scorso. Ed è attorno a questi valori e ad altri che si deve poi configurare l´azione di un partito, il Pdl, capace di rispondere ai problemi di oggi. L´altra grande questione, quel valore che è ben chiaro nel manifesto del Ppe, quella sintesi culturale che già a Fiuggi vedemmo prima di altri, quel messaggio attraverso il quale si deve affermare un´economia sociale di mercato che è la sintesi di alcune tradizioni culturali del secolo scorso che non sono cadute in disuso perché continuano a mantenere una loro intima vitalità. Oggi cos´è che manda in crisi molti degli analisti legati agli schemi del passato? È la dimensione della crisi, è la natura della crisi. La crisi dell´economia oggi deriva innanzitutto dal baricentro che negli ultimi tempi il mercato aveva spostato sul dato finanziario. La finanziarizzazione dell´economia ha creato la crisi. Il che sta a significare che se si vuol dare innanzitutto un messaggio non soltanto di speranza ma indicare una via d´uscita dall´attuale crisi, bisogna riportare il baricentro dell´economia a quella che è la produzione reale di ricchezza. L´economia non si può basare esclusivamente sulla finanza perché nello stesso momento in cui lo fa può determinare immediati e facili arricchimenti e altrettanti immediati e facili impoverimenti. Ma non soltanto arricchimenti per pochi, impoverimenti per popoli interi.
E quella ipotesi di economia in cui il mercato sia certamente luogo preposto a sviluppare ricchezza ma sia in qualche modo temperato dall´azione regolatrice delle istituzioni, in quella dimensione sociale che è il fulcro culturale del Ppe, rappresenta non soltanto la risposta che va fornita anche in Italia e in buona parte dell´Europa, rappresenta certamente una risposta che è in piena sintonia con i valori tradizionali della destra italiana e con i valori tradizionali di buona parte delle forze politiche italiane che confluiscono e che danno vita al Pdl. E, sempre nell´ambito di queste risposte a quesiti che non sono quesiti di poco conto, il valore rappresentato nell´ambito del Ppe dalla laicità delle istituzioni. Quel Ppe che da tempo non è più un´internazionale di tipo democratico-cristiano. Laicità delle istituzioni che non può significare in alcun modo negare il magistero della Chiesa, men che meno la dimensione che per definire un´identità di popolo ha l´aspetto religioso. La laicità delle istituzioni significa - perché è un pilastro della nostra cultura occidentale da almeno due secoli - netta separazione, non soltanto come ha detto giustamente ieri Berlusconi "nessun tipo di collateralismo", ma soprattutto affermazione chiara ed esplicita circa il confine che deve separare la sfera privata rispetto a quella religiosa. Perché uno Stato è autenticamente laico nello stesso momento in cui riconosce il valore della religione ma colloca il valore della religione all´interno di scelte che sono di tipo individuale e personale, non possono essere scelte di tipo collettivo.Ecco perché, potremmo citare altri esempi, il Pdl non può che essere, come hanno detto Matteoli e Gasparri, un partito culturalmente plurale. Lasciatemi dire che non deve e non può essere un partito di destra, deve essere un partito in cui certi valori della destra sono il lievito, sono il valore aggiunto, sono l´elemento che è capace di produrre una sintesi politica e di far fare un salto in avanti alla capacità del partito, non soltanto di immaginare il futuro dell´Italia, ma di costruirlo. Un contenitore ampio, arioso, plurale, inclusivo, interclassista, aperto, certamente unitario. Unitario però non può significare "a pensiero unico", perché c´è una contraddizione in termini tra popolo della libertà e pensiero unico. Unitario ma con la pluralità delle opinioni. Un partito certamente democratico, un partito in cui vi siano regole - e lo statuto che Ignazio La Russa ha letto dà queste garanzie - ma altrettanto certamente che mai e poi mai dovrà pensarsi e organizzarsi secondo la degenerazione della democrazia che è la correntocrazia. Lo voglio dire a tutti coloro che entreranno nel Pdl: nessuno pensi all´interno del Pdl di costituire la corrente di An. Perché se questo dovesse essere l´obiettivo, amici miei, valeva la pena allora consumare questo momento? Non era forse più utile e opportuno - se si pensa di poter incidere e determinare quelche cosa in termine di logica di gestione del potere - tenersi un partito, uno strumento del dieci o dodici per cento? Il Pdl non può e non deve avere le correnti organizzate, deve avere un sano confronto di idee e opinioni, di soluzioni dei problemi di oggi e ancor più dei problemi di domani. Un partito quindi democratico ma non organizzato in correnti, unitario ma non a pensiero unico, un partito che si può configurare così proprio perché ha una leadership forte, riconosciuta. Credo che ci sia stato un eccesso di stucchevolezza nel dibattito che ci ha fin qui accompagnati - il leader è uno, i leader sono due, cosa fa Fini - amici miei il Pdl ha un leader che si chiama Berlusconi. È di tutta evidenza. Dopo di che Berlusconi sa che una leadership forte e riconosciuta non può in alcun caso essere il culto della personalità. Perché un conto è essere leader, un conto è pensare che soltanto chi è leader possa dare un contributo di idee, di impegno, di soluzioni politiche, di orientamenti di sintesi. Dopo di che l´ho detto e lo confermo: i leader non si battezzano, i leader non si creano a tavolino, i leader nascono nello stesso momento in cui ci sono le condizioni politiche e ci sono le capacità di chi ambisce a guidare una comunità. Il problema di An e del Pdl non può essere quello della leadership. Il problema semmai deve essere di garantire che il Pdl sia non il partito di una persona ma il partito di una nazione. Che il Pdl sia la capacità di dare le risposte e di individuare un progetto per l´Italia. Perché dobbiamo farlo il Pdl? perché noi dobbiamo immaginare l´Italia fra dieci o quindici anni. E siccome siamo forza di governo, dobbiamo cominciare a costruirla. Come si fa? Altro che testimonianza delle memorie del passato. Vuol dire essere coscienti dei problemi che il paese ha. Vuol dire ad esempio chiedersi quale forma istituzionale debba avere. Mi auguro che questa legislatura sia una legislatura costituente perché l´Italia rischia di avere il passo ancor più lento rispetto a quello di altri paesi europei se non dà vita a una riforma del suo assetto costituzionale che consenta di superare una bella immagine del Censis di qualche anno fa. Secondo quei ricercatori l´Italia assomigliava a un calabrone, cioè riusciva a volare quasi vincendo le leggi della fisica, sembrava impossibile e pur si alzava da terra. Poi per un certo periodo di tempo una sorta di crisalide, di eterna transizione. Il Pdl se vuole immaginare l´Italia di domani e cominciare a costruirla deve farla uscire quella farfalla che c´è nella crisalide. Abbiamo un sistema istituzionale che è superato e non lo si può superare soltanto in un passo dimenticando l´intima coerenza di un sistema. È necessario che ci sia in questa legislatura non tanto una ripartenza sul tema delle riforme istituzionali ma che ci sia consapevolezza che tanto più è necessario affidare a chi è il capo dell´esecutivo scelto democraticamente e liberamente dagli elettori il diritto dovere di governare, tanto più è doveroso affermare per il Parlamento il ruolo di controllare. Il presidenzialismo rimane un punto di approdo indispensabile per un´Italia moderna ma il presidenzialismo non può essere un Parlamento che viene messo in un angolo e al quale si chide di non disturbare il manovratore. Il Parlamento deve tornare ad essere il luogo del controllo. Magari meno leggi in Parlamento, ma più potere di controllo, più potere di indirizzo, perché così funzionano davvero le democrazie che sono orientate nella funzione presidenzialista o semi-presidenziale. Negli Stati uniti, l´inquilino della Casa Bianca è il capo dell´esecutivo più potente del mondo, ma al tempo stesso c´è un Congresso che ha un ruolo centrale, un ruolo di controllo, un ruolo di indirizzo. Una riforma istituzionale è indispensabile per un´Italia più moderna. È indispensabile perché ci sia, dopo il federalismo attuato a livello fiscale, a livello di amministrazioni, un federalismo di tipo istituzionale. Ma che cosa aspetta il Pdl a intavolare nel Parlamento e nel paese una discussione anche con l´opposizione su una politica di riforma istituzionale che rafforzi entrambi i poteri, esecutivo e legislativo? Che cosa aspetta il Parlamento a decretare la fine del bipolarismo perfetto? Non ce li possiamo permettere due rami del Parlamento con identiche funzioni e identici poteri. Il problema non è solamente quello dei regolamenti parlamentari che son datati, è che il tempo per varare una legge è mediamente il doppio rispetto a quello degli altri paesi, per tutti quei meccanismo che fanno sì che se una legge viene modificata di una sola virgola deve tornare nell´altro ramo. E allora una Camera che dà la fiducia, una Camera che ha un grande potere di controllo e di indirizzo e l´altra che rappresenti il territorio, le autonomie, le regioni, che rappresenti quel federalismo diffuso che c´è. Una forma istituzionale nuova. L´Italia tra quindici anni va pensata anche nel suo ruolo internazionale nel suo ruolo euro-mediterraneo, perché quello è il destino italiano nell´ambito di una politica europea che negli ultimi tempi - forse non poteva essere altrimenti vista l´Unione a ventisette e viste le difficoltà dell´Unione in assenza del trattato di Lisbona - sembra aver perso la coscenza che il Mediterraneo è il cuore di buona parte della cultura occidentale, è il cuore di tutti quelli che possono essere i momenti di confronto e, Dio non voglia, di scontro con altre civiltà.
Pensare un´idea dell´Italia nel Mediterraneo e pensare al tempo stesso per i prossimi dieci anni quale sarà il livello di coesione Nord-Sud. La questione del nostro Meridione non può scomparire dal dibattito politico. E lo voglio dire a scanso di equivoci: il pericolo non è il federalismo. Anzi, per certi aspetti il federalismo fiscale rappresenta un´opportunità di responsabilizzazione della classe dirigente meridionale. Forse, se ben attuato, il federalismo sarà proprio il grimaldello che farà saltare alcune logiche clientelari, alcune logiche para-mafiose. Ma il problema del nostro Sud è nella debolezza dello Stato. Perché non c´è ombra di dubbio che la competizione Nord-Sud, la competizione nel Mediterraneo, può vedere un Meridione protagonista soltanto se lo Stato è presente. Per quel che riguarda la realizzazione delle infrastrutture e per quel che riguarda la garanzia della legalità. Io vorrei che il Pdl che costruiamo insieme sia presente in occasione di quelle grandi manifestazioni che di tanto in tanto si svolgono nel Meridione come è accaduto ieri a Napoli nel nome della legalità e nel nome della lotta alle mafie. Perché non è prerogativa di una parte, perché è stolto pensare che possa essere soltanto una parte a innalzare quelle bandiere, perché il nostro Meridione e la coesione sociale dell´Italia sarà garantita soltanto se lo Stato nel Sud ci sarà con assoluta certezza per quanto riguarda quel gap infrastrutturale che deve essere rimosso. E con assoluta fermezza per quel che riguarda la legalità. E ancora pensare un progetto per l´Italia del futuro nella sua forma istituzionale, nella sua collocazione nel Mediterraneo, in quella coesione nazionale che deve ridare al Meridione un protagonismo positivo, pensata nei suoi assetti economici perché la crisi c´è, perché nessuno sa che cosa c´è dinanzi a noi. Perché fermo restando il confronto doveroso tra maggioranza e opposizione io credo che il Pdl debba porsi il problema di come tradurre il nuovo patto che non è soltanto il patto nord sud è il patto tra categorie, è il patto tra generazioni. Perché l´Italia o si salva tutta intera dalla crisi o rischia di non salvarsi. E io credo che si debba riprendere quella ipotesi che ho lanciato in altre occasioni, in un´altra veste, allora parlando come presidente della Camera. Il governo fa bene a fare le sue scelte e l´opposizione ovviamente le contesta e in qualche modo contrappone altre ipotesi, altre idee, ma se siamo davvero coscienti della portata della crisi, non escludiamo di dar vita a quegli stati generali dell´economia, a quel confronto tra parti sociali, imprenditori, territorio dal quale forse può uscire una visione condivisa e per certi aspetti una soluzione positiva di una crisi che non riguarda questo o quell´aspetto della società ma che è di tutta la nostra società. E allora si tratta di un grande compito, immaginare l´Italia tra quindici anni e cominciare a costruirla. Un grande compito per un grande movimento politico, un grande movimento politico di popolo che certamente c´è, la percentuale di consenso è altissima, ma anche un movimento politico di idee, di proposte, di sintesi. E questa è la sfida. Non portare la nostra identità, non portare la nostra bandiera, ma portare la nostra capacità di leggere la società italiana e di individuare ciò che è necessario per dare una risposta ai problemi. Sarebbe una dimostrazione di enorme miopia pensare al Popolo della libertà soltanto con l´ottica della fusione di organigrammi. Anche a costo di apparire presuntuoso, di farmi sfottere dai giornalisti domani, lasciatemi citare De Gaulle: «La politique d´abord, l´intendence suivra». Come saranno organizzate le federazioni o come sarà organizzato il nuovo partito è certamente importante, ma non può essere l´oggetto dell´attenzione, della preoccupazione, e men che meno la ragione per la quale si va convintamente nel Pdl. Perché la questione è innanzitutto quale progetto per l´Italia di domani, quali idee, quali politiche, quali sintesi, quali provocazioni se si vuole. Ci dobbiamo mettere tutti in discussione, a partire da me. Sono cosciente, accetto la sfida. Tutti in discussione. Per qualcuno verranno meno le rendite di posizione, per qualche altro si apriranno delle opportunità forse inaspettate, positive, ma la sfida va affrontata. Siamo coscienti. Non dobbiamo aver paura nemmeno che questa alleanza, questo incontro, questo fatto storico possa in qualche modo annacquare l´identità, farcela perdere. C´è stato una sorta di mantra autoconsolatorio, che ho sentito tante volte. È giusto che sia così, ma attenzione - amici miei - alcune perplessità c´erano anche a Fiuggi. Qualcuno se ne andò addirittura, perché pensava fosse impossibile mantenere una identità dando vita ad Alleanza nazionale. Poi qualcuno nel nome dell´identità ha cercato altre strade che si sono rivelate dei viottoli chiusi. Ma chiusi non dalle nomenclature, chiusi dagli elettori. Gli elettori hanno scelto il 18 di aprile, non c´era il nostro simbolo sulla scheda, c´era il Pdl e poi c´era chi orgogliosamente diceva "io sono la destra". E il risultato è noto. L´identità non è come la coperta di Linus, autoconsolatoria. L´identità non si garantisce con gli slogan roboanti, con la declamazione, con la retorica più o meno muscolare della propaganda. L´identità, quando è basata su dei valori, deve essere capacità di dare delle risposte, indicare delle strade, di orientare un cammino, ed è la ragione per la quale non ci dobbiamo preoccupare nel Pdl della nostra identità. Ci dobbiamo preoccupare dell´identità degli italiani tra dieci, quindici anni perché se la stella polare è quella di cui abbiamo parlato all´inizio, l´amore per la nostra terra, l´amore per la nostra patria, la sfida è quella: come sarà l´Italia tra dieci anni, quale sarà l´identità che avrà il nostro Paese. E dobbiamo cominciare a costruirla questa identità, coniugando modernità e tradizione che è da sempre, in qualche modo, il binario obbligato della destra italiana. E, badate, le sfide ci sono. Sono enormi. Io vorrei che il Pdl non si confrontasse tra ex An e Forza Italia e gli ex degli altri partiti, io vorrei che il Pdl cominciasse a tentare di fornire risposte ad alcuni problemi che bussano già alla porta, che in alcuni casi sono già entrati. Non è forse vero che la nostra società tra dieci, quindici anni sarà molto diversa da quella che è oggi? E che sarà per la prima volta nella storia del popolo italiano una società multietnica, una società multireligiosa? Quando ci si confronta con la questione della immigrazione, non lo si può fare soltanto con la logica - pur giusta - di chi vuole più ordine più sicurezza e, quindi, necessariamente vuole che ci sia l´espulsione del clandestino.
Non è questa la questione. La vera grande questione è che siamo in un Paese che demograficamente è sempre più vecchio e in cui inevitabilmente saranno sempre di più coloro che nel prossimo futuro saranno italiani senza essere figli di italiani, con altre storie alle spalle, con altre identità, con altre culture. È una grande sfida che l´Italia non ha mai vissuto rispetto agli altri Paesi. È una sfida in cui diventa essenziale avere le idee chiare, distinguere l´assimilazione dalla integrazione. Avere ben chiaro il significato importante della lingua, avere ben chiaro che una società multietnica tende necessariamente a essere una società di tipo multireligioso, il che non vuol dire ovviamente dar vita a una sorta di agnosticismo. Da questo punto di vista l´identità del popolo italiano in termini religiosi è chiaramente orientata a quello che è l´insegnamento cristiano e cattolico. Ma ci sarà sempre di più il confronto con altre religioni in Italia. Una società multirazziale, una società che pone dei problemi in termini educativi, in termini di garanzie, di diritti, perché se vogliamo essere coerenti con quel che diciamo, se il primato è sempre e solo della persona umana, risulta poi evidente che non puoi discriminare - se il primato è della persona umana - se si tratta di un immigrato, fosse anche clandestino. È una grande sfida, è una sfida che non si affronta con la retorica, non si affronta con lo slogan, non si affronta mostrando i muscoli, si affronta se c´è con la capacità di pensare, di dare una risposta in termini culturali. Guardate ciò che accade fuori dai nostri confini. Anche perché come se non bastasse una società sempre più multietnica, nel cuore del Mediterraneo, pone a noi italiani il problema del tutto nuovo del rapporto con l´Islam. E pone il problema del rapporto con l´Islam in un momento in cui il crinale tra scontro tra civiltà e il dialogo tra le civiltà è ancora incerto con tutto ciò che ne consegue. Da questo punto di vista, credo che sia evidente che l´integralismo, ogni forma di integralismo, è un additivo formidabile per chi lavora nella prospettiva di uno scontro tra civiltà. E non credo che il Pdl, il partito del 40 per cento, che vuole immaginare il futuro del nostro Paese tra dieci anni, possa schierarsi inconsapevolmente o meno in una logica di scontro. Dobbiamo necessariamente favorire un colloquio, favorire un´intesa nel rispetto - è ovvio - delle identità, ma in una politica che è basata sul ripudio di ogni ipotesi di superiorità o di fondamentalismo. È una sfida culturale - amici miei - e la sinistra italiana in queste questioni non è stata ancora in grado di fornire delle risposte convincenti. Adesso tocca a noi. Il consenso va e viene anche in ragione della capacità che si ha di intercettare non soltanto le paure, ma di intercettare e rispondere positivamente alle speranze degli italiani. E ancora, che cosa vuol dire pensare l´Italia tra dieci, quindici anni? Significa pensare a che cosa può determinare la diffusione sempre più ampia nella società di quello che, giustamente, è chiamato il relativismo morale, l´assenza di principi, la confusione che sempre di più si fa tra ciò che è giusto e ciò che non lo è. E credo che la risposta in termini culturali, in termini educativi, partendo dai più giovani, debba essere da parte nostra nella divulgazione dei quella che mi piace chiamare un´etica, un´etica repubblicana dei doveri, per la quale sia del tutto evidente in un ideale pantheon, visto che tanto se ne è parlato, non della destra, ma un pantheon della società italiana nel prossimo decennio ci devono essere quelle figure che proprio nel nome del dovere e delle istituzioni hanno sacrificato la loro vita. Non si combatte il relativismo, il"chi me lo fa fare", il non distinguere più ciò che è giusto da ciò che non lo è, se non affermando l´etica del dovere e il premio che necessariamente una società deve saper riconoscere a chi per quel dovere si sacrifica. E ringrazio chi, credo sia stato Fabio Granata, ha voluto ricordare - quando di parla di identità - un orgoglioso militante del Fuan di tanti anni fa: il giudice Borsellino. Lo ricordiamo non perché è stato militante del Fuan. E ancora, senza annoiarvi, pensare all´Italia di domani significa cominciare a porsi quesiti di questa natura. C´è in atto un´evidente crisi del liberal-capitalismo. È pensabile la crisi delle liberal-democrazie? Perché chi conosce la storia sa che i due assetti sono nati e si sono sviluppati insieme. E qual è la risposta che deve venire dall´Italia? Un´Italia che non può essere soltanto una periferia, ma dovrebbe tornare a essere la fucina da cui nascono le idee, il luogo che alimenta un dibattito che non sia soltanto all´interno dei confini nazionali. E ancora, c´è il rischio di una atomizzazione sociale. Non è in discussione soltanto la coesione Nord-Sud, sono sempre meno stretti i rapporti che legano gli italiani tra di loro, persino i padri con i figli. L´essenziale è che a un egoismo diffuso si contrapponga una pratica di solidarietà altrettanto diffusa. E ancora una volta non è un quesito culturale, è una sfida politica. E come farlo, come tradurlo in un´iniziativa di legge, perché il Pdl è il pilastro del governo italiano e prevedibilmente lo sarà per tutta la legislatura e forse anche per la prossima. Non possiamo gestire il consenso con una politica contro l´attuale opposizione. Cerchiamo di gestire il consenso immaginando l´Italia di domani e dimostrando semmai che l´attuale opposizione non le sa dare le risposte perché magari non la immagina l´Italia di domani. Ecco, non sono sfide facili. Sono certamente sfide ardue, sono sfide che non si possono affrontare con la logica autoreferenziale del partito che ha il perimetro delimitato del proprio consenso. Se il compito fosse stato quello tanto valeva allora tenersi An, sperare che dal 12 diventassimo il 13, il 14. Non si risponde alla sfida che il futuro già porta in ogni casa nostra e dentro ogni casa europea con la logica di chi ancora intimamente è con la testa nel secolo scorso. Ed è una ragione per la quale dobbiamo superarle le colonne d´Ercole, dobbiamo pensare in grande, volare alto. Dobbiamo cercare di fornire le risposte di cui la società italiana ha bisogno. Si può raccogliere il consenso alimentando la paura, si deve raccogliere il consenso offrendo la speranza e la certezza con un´azione coerente, di riuscire a costruirlo quel domani. Credo che questo sia il grande compito del Pdl, un grande movimento di popolo, che deve essere al tempo stesso un grande movimento di idee. Sarà la sfida più difficile: dimostrare che davvero è cambiato molto non dal 1946, ma dal 1994. Nel `94 noi, i figli degli esuli in patria furono chiamati a fare i conti con il loro passato. Oggi, da protagonisti in patria, noi di An siamo chiamati a cominciare i conti con gli italiani di domani. È una prospettiva del tutto diversa, è una grande storica missione che va vissuta con entusiasmo, nel Pdl entrino coloro che ci credono.Entrino coloro che hanno per davvero amore per l´Italia. Entrino coloro che credono nella bontà delle loro e delle nostre idee, perché lasciatemi concludere con uno slogan della nostra giovinezza, con la semplicità e al tempo stesso l´efficacia degli slogan: se si ha paura vuol dire che o non valgono nulla le idee in cui si crede o non vale nulla chi ha paura. Non dobbiamo aver paura del futuro, dobbiamo avere coscienza della possibilità di costruirlo fin da oggi. Dobbiamo gettare il cuore oltre l´ostacolo e impegnarci con la stessa tenacia con cui l´abbiamo fatto per tanti anni. Oggi finisce Alleanza nazionale, nasce il Popolo della libertà, continua il nostro amore per l´Italia.
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LO SCIOGLIMENTO DI ALLEANZA NAZIONALE
La sensazione è che nell'ottica del presidente della Camera il passato sia archiviato da tempo; ed il presente vada filtrato con un binocolo che guarda l'Italia di qui a dieci anni. È un'ottica che relativizza l'esistente: il Pdl, l'era berlusconiana, le vecchie identità. Il passo d'addio è una miscela di orgoglio e solitudine. Se pure Fini non ha detto esplicitamente ai suoi: «Da oggi, ognuno per sé», il suo lascito ad An è proprio in questi termini. Il ponte simbolico scelto per l'ultimo congresso non traghetta nel continente del Cavaliere un partito, ma una folla di singoli che dovranno guadagnarsi il proprio spazio vitale. Si tratta di una condizione politica scomoda, per una forza abituata a percepirsi in termini di diversità; e tuttavia è l'unica che Fini ritenga possibile e, forse, in grado di favorire le sue ambizioni.
In fondo, da quando guida l'assemblea di Montecitorio, lui stesso è diventato un solitario per antonomasia: in primo luogo nella propria maggioranza. Dandosi un profilo istituzionale autonomo, per il quale è stato accusato di ingratitudine, negli ultimi dodici mesi ha costruito una legittimazione ed una rete di alleanze esterne al centrodestra; più orientate verso il Quirinale che verso Palazzo Chigi; e più attente alle prerogative del Parlamento che alle esigenze del governo. Adesso che entra nel Pdl le rivendica e quasi le accentua. Si presenta non come un alleato che deve gratitudine a Berlusconi, ma come un aspirante leader pronto ad accettarne la guida; temporaneamente, però, e ad alcune condizioni. Il suo rifiuto orgoglioso del termine «sdoganamento» è un no alla lettura di An come un movimento postfascista che il Cavaliere ha tolto dal ghetto della storia. E le critiche al culto della personalità e al pensiero unico sono avvertimenti indirizzati, di nuovo, all'azionista di maggioranza del Pdl. Insomma, Fini ha l'aria di chi entra nel nuovo partito protetto dall'armatura del ruolo parlamentare; ed è deciso a non farsi accecare e bruciare dalla stella del berlusconismo.
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Ma è difficile capire se la scelta prelude alla sua emancipazione ed ascesa politica; o se il presidente della Camera fa solo di necessità virtù: nel senso che ha assecondato la fusione fra An e FI perché non aveva alternativa. La sensazione è che la destra non sia più «sua» da tempo; e lui non sia più la destra: o almeno, non la controlla e non la rispecchia come prima. Si è visto in occasione del contrasto fra Palazzo Chigi e Quirinale sulla bioetica, poche settimane fa. Con il presidente della Camera che dava ragione al capo dello Stato, Giorgio Napolitano; e Berlusconi che invece lo criticava e faceva appello al proprio governo, ottenendo un'unanimità garantita anche dai ministri di An. Il suo distacco dal partito d'origine, insomma, è stato se non preceduto, accompagnato da quello di An da lui. Dire di no all'idea di guidare la «corrente di destra» del Pdl significa prendere atto della realtà, più che determinarla. Da oggi la figura di Berlusconi, esorcizzata nei due giorni del congresso, si materializzerà con il suo sorridente, inesorabile abbraccio. E renderà evidente che An aveva attraversato e bruciato il ponte alle proprie spalle ben prima di ieri. Non avere paura, come invita a fare Fini, significa trarne tutte le conseguenze senza guardare indietro
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domenica 22 marzo 2009
OGGI SI E' SCIOLTA ALLEANZA NAZIONALE. FINI EMOZIONATO
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mercoledì 25 febbraio 2009
Maurizio CASTRO (PDL) : DDL Brunetta provvedimento importante
“Con questa riforma -prosegue - finirà l'era della burocrazia opaca, inefficiente, arrogante, chiusa in se stessa. In dosi massicce verrà introdotta nella macchina della Pubblica Amministrazione la cultura della responsabilità, della trasparenza e del merito, in coerenza con i principi del federalismo fiscale. Al centro dell'azione amministrativa non vi sarà più il 'procedimento', formale e autoreferenziale; bensì il 'provvedimento', concreto e misurabile. Si passerà da un modello consociativo a un modello partecipativo di relazioni sindacali nel pubblico impiego: dove quel che conterà sono i risultati conseguiti, sia dal singolo funzionario, sia dall'ufficio in cui opera e dove solo in base ai risultati si farà carriera e si guadagneranno riconoscimenti salariali. Nessun dirigente potrà occultare la cattiva prestazione della squadra affidatagli dietro il paravento di cavilli e codicilli perché questa legge - conclude Castro - gli affida in modo netto e chiaro tutti i poteri per organizzare al meglio le sue strutture, e la valutazione delle performance è affidata a criteri certi, definiti in base alle migliori esperienze internazionali”.
Pubblicato da Progetto L'Aquila alle 11:26 0 commenti
martedì 17 febbraio 2009
ELEZIONI SARDEGNA:SORU SCHIACCIATO DA CAPPELLACCI
Pubblicato da Progetto L'Aquila alle 04:20 0 commenti